La Cultura degli Esclusi


La pena che i buoni devono scontare per l’indifferenza alla cosa pubblica è quella di essere governati da uomini malvagi.“¹

Aristotele 

 

In uno degli ultimi Consigli Comunali, sono stato oggetto di discussione, in merito alla mia probabile vicinanza o meno rispetto alle posizioni del Sindaco.

Ci tengo a precisare, semmai non fosse ancora chiaro, che io sto con il Sindaco, ma sono distante anni luce rispetto ad alcune sue scelte, soprattutto di natura prettamente politica, per cui spesso lo critico, soprattutto con uno spirito propositivo. Un sindaco normale non mi esalta.

Fin quando potrò farlo starò dalla sua parte, nel caso contrario diventerò un suo avversario.

Il punto cruciale che mi separa dal Sindaco, ruota attorno ad una concetto, rispetto al quale io non ho mai cambiato idea: “La politica non si cambia dall’interno“.

L’attuale Sindaco, che nel corso degli anni, per svariati motivi, ha cambiato molti compagni di viaggio, ha senz’altro dato, quantomeno nella prima fase, un contributo notevole nella direzione del cambiamento, e non solo a Canicattini. Il vero cambio di rotta inizia nel 2000, quando si è accorto che le sue erano soltanto “crociate Donchisciottesche“, di conseguenza decise di entrare, nel senso espressamente tecnico, in politica. E’ diventato Vice Sindaco, con una rivoluzione pacifica, in una compagine lontana anni luce dal suo modo di intendere la politica, eppure è riuscito nel suo intento, ha conquistato il potere, è diventato Sindaco, è stato riconfermato Sindaco.

A quel punto, in quel momento si concretizza la vera “questione Amenta“:

Il potere: servirsene per continuare la rivoluzione, oppure una volta raggiunto, (come i Comunisti di Lenin) dedicarsi esclusivamente alla gestione?

Propendo per la seconda ipotesi, e personalmente penso che il motivo principale vada ricercato nella paura di perderlo, per cui nelle sue scelte di politica ed amministrative, da quel momento ha prodotto il minimo, nella direzione del cambiamento.

In tutte la sue uscite pubbliche pone l’accento sugli ultimi, sugli esclusi in tutti i settori della società, ma le scelte amministrative sono totalmente nella direzione opposta, ogni scelta ha come comune denominatore acquisire nuovi consensi.

Non tutte le colpe sono ascrivibili direttamente alla sua azione. La questione è complessa, e più in generale e riguarda il contesto politico, a Canicattini, come a Palermo o a Roma. Esplicitamente è relativo al modo in cui la politica viene concepita dalla e nella società, pertanto per naturale conseguenza, il problema è esclusivamente di natura culturale.

Oggi si tende, tanto a Canicattini, quanto a Palermo ed a Roma, a disgiungere la cultura dalla politica ed a considerare la Cultura come un ramo della politica, così come l’economia, i servizi sociali ed i lavori pubblici. La politica intesa in questi termini è fallita, è fallita a Roma ed a Canicattini.

Tutto ciò, in pratica si traduce, in una paura diffusa dei politici di professione (Sindaci o Deputati) di staccarsi da questi schemi. La paura è quella di perdere il potere, nella stessa misura in cui un lavoratore teme di perdere il proprio posto di lavoro.

Appare necessario, indispensabile e non più rinviabile riformare la politica, gli unici che in Italia stanno tentando quest’avventura sono i grillini, il movimento cinque stelle, che tuttavia, senza saperlo, predica l’anarchia, perchè la loro lotta di esclusi non è soltanto nei confronti delle persone che gestiscono il potere ed un più generale decadimento della politica, ma ancor più nei confronti delle istituzioni, cioè i luoghi in cui si esercita il potere, con un solo risultato, uguale a quello di tutti gli altri partiti: cambiare le persone che gestiscono il potere. In questi casi, la storia insegna, non si cambia la politica, non si cambia nulla.

Sono convinto che la politica si cambia solo dall’esterno della politica, ma comunque all’interno delle istituzioni, e soprattutto cambiando la società.

L’interno delle istituzioni è per esempio la carica di Sindaco, ma questo Sindaco deve dimettersi dalla politica, dimettersi da questa politica, e guidare una vera rivoluzione a partire da Canicattini, per farla diventare una rivoluzione di più ampia portata, proprio dall’interno delle istituzioni, sfidando la mala politica e per cambiare la società, con quella che definirei la “cultura degli esclusi“.

Si rende improrogabile rimettere insieme politica e società. Non è più concepibile una situazione in cui queste componenti sono distanti anni luce. La politica è verticista, alla base c’è la società, in alto i politici, nel mezzo non c’è nulla. Oggi, la vera separazione non è quella dei poteri (Governo/Parlamento/Magistratura), ma quella tra governanti e governati, tra politica e società. L’attuale forma di Stato cos’è se non un oligarchia, il governo di pochi. La politica è diventata una pratica di potere e di privilegi, dove i cittadini sono clienti, che acquistano sulla base di interessi contingenti.

 Che fare?

Occorre proporre la vera politica dei territori, non quella demagogica, che serve ai “professionisti della politica“ per migliorare il proprio “grado“ all’interno delle istituzioni, e qui non mi riferisco al nostro Sindaco, ma ai capi di questo “fantomatico“ movimento.

La vera politica dei territori è quella delle antiche polis fondate sulla partecipazione attiva dei cittadini, non sono più accettabili deleghe in bianco nei confronti di superuomini, autorizzati in tal modo a curare esclusivamente i propri interessi.

Nel contesto culturale, società/politica, come sopra intesto, le componenti sono tre il Sindaco e la sua maggioranza, l’opposizione (la politica) e la città (la società).

Tre corpi a se stanti, che ovviamente interagiscono tra di loro. La città non deve schierarsi con il Sindaco, né tanto meno con l’opposizione (che deve essere dura, anche ostruzionistica, con un’azione di controllo e fiato sul collo; e qui Savarino è la persona giusta). La città è con se stessa, è un gruppo di persone in continuo movimento che sta contro ed a favore del Sindaco sulle singole problematiche. Ecco, la cultura critica, al di fuori di ogni schema ideologico, pertanto non imposta dal più forte.

Noi cittadini, troppo spesso rimaniamo inermi e ci accontentiamo dello status quo.

Lasciare le cose come stanno vuol dire “bussare“ alla porta del politico, che sia esso un Sindaco un deputato o un mediatore del potere… e partecipiamo alla politica a titolo individuale, per noi stessi, per i nostri esclusivi interessi personali. Come tutti quelli che fanno politica attiva.

Le uniche persone che fanno politica senza curare i propri interessi personali, sono soltanto quelli che ancora non se ne sono accorti, e magari tra qualche anno si troveranno il mutuo della casa pagato, a loro insaputa, insomma una scajolata.

Ed i cittadini che bussano alla porta del politico di turno, a loro insaputa, ma da tempo diventano sempre più consapevoli, vengono presi per i fondelli, sistematicamente.

Forse si può fare.

Paolo Giardina

 

¹ Chiaramente, il pensiero di Aristotele, va contestualizzato, dove il termine malvagio è relativo alla degenerazione della polis (verificatesi nel suo tempo) in cui si passo da regimi fondamentalmente democratici a tirannie assolute.

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